Il punto di vista e le iniziative delle protagoniste dell’edilizia per promuovere le donne nel mondo del lavoro e nella società. Tra nuove e vecchie criticità dell’occupazione e dell’imprenditoria femminile, la visione di alune Capitane Coraggiose.
In crescita lenta, così gli ultimi rapporti sembrano descrivere l’occupazione femminile in Italia: un dato che lascia intravedere vecchie e nuove criticità del mercato del lavoro e dell’occupazione femminile. Secondo i dati Istat di dicembre 2024 le donne occupate in Italia sono il 53,4% della forza lavoro mentre gli uomini raggiungono il 71,2%: un divario di quasi 18 punti percentuali generato dagli ostacoli che ancora permangono nell’ambito della parità di genere.
Esaminando un intervallo temporale più ampio, nell’analisi della Fondazione Studi Consulenti del lavoro Tendenze dell’occupazione femminile in Italia al 2024 (marzo 2024), si possono osservare le tendenze relative all’occupazione e disoccupazione femminile degli ultimi anni. Rispetto al 2019, l’occupazione femminile è aumentata dell’1,6% nel 2023, dato leggermente inferiore alla crescita registrata dagli uomini +1,8%. Tuttavia, il 2023, rispetto al 2022, ha segnato una dinamica più favorevole per le donne con un incremento del 2,4%, contro l’1,7% degli uomini.
Sempre secondo questo report, la maggior parte dell’occupazione femminile si è concentrata nei servizi (8,3 milioni su quasi 10 milioni di occupate) e le dinamiche di crescita più rilevanti si sono registrate nel settore industriale con +8,1% di lavoratrici. Anche per le donne in edilizia si è visto un contributo importante nella ripresa occupazionale: le lavoratrici delle costruzioni sono, infatti, aumentate del 34,7% tra il 2019 e il 2023.
Il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia, ancora lontano dai livelli europei (nel 2023 era pari al 49,3% contro il 61,8% della Ue a 26), rappresenta uno degli ostacoli alla crescita di lungo termine del nostro Paese: se l’Italia avesse un tasso di partecipazione femminile pari a quello europeo si avrebbero quasi 2,8 milioni di occupate in più (Ufficio Studi Confcommercio) a cui corrisponderebbe un incremento del tasso di fertilità. Un aumento dell’occupazione femminile, quindi, oltre a contribuire a migliorare il bilancio demografico dell’Italia, favorirebbe la crescita economica complessiva.
I progressi nell’occupazione femminile restano insufficienti per raggiungere gli obiettivi europei in materia di riduzione del divario di genere nel mercato del lavoro.
Nel 2024 l’Italia ha infatti perso 8 posizioni nel Global Gender Gap Index del World Economic Forum, classificandosi all’87° posto su 146 paesi nel Global Gender Gap Report. Questo slittamento in basso, oltre metà classifica, sottolinea le disuguaglianze di genere che ancora persistono, in particolare nel mondo del lavoro.
Come analizzato anche nel 9° rapporto di Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (dati di ottobre 2024), i progressi occupazionali nel nostro Paese sono buoni ma potrebbero non bastare per centrare due importanti obiettivi europei per la parità di genere rispetto al Goal 5 dell’Agenda 2030:
- ridurre, entro il 2026, a meno di 10 punti percentuali il divario occupazionale tra donne con figli piccoli e donne senza figli;
- dimezzare, entro il 2030, il divario occupazionale di genere rispetto al 2019.
Per raggiungere questi target bisognerebbe arrivare a un tasso di occupazione femminile pari al 92,8% di quello maschile in Europa e all’86,8% in Italia. I dati rivelano che l’indicatore europeo è migliorato così come in Italia, dove però i progressi sono meno consistenti: nel 2023 l’Ue registrava un valore del rapporto tra i tassi di occupazione pari a 87,3 mentre l’Italia aveva un valore di 74,3 (a 12 punti dal valore obiettivo), traguardo che sarà difficilmente raggiungibile entro i tempi previsti.
Sebbene il nostro Paese stia compiendo progressi, perdurano alcune problematiche strutturali che inibiscono sia la crescita dell’occupazione femminile sia lo sviluppo di una piena parità di genere.
Gap e criticità da risolvere, anche con il welfare
Il mercato del lavoro in Italia è oggi caratterizzato da un nuovo paradosso: il record di occupati, un trend di lavori più stabili e una maggiore presenza di donne si intrecciano a una diffusa disaffezione al lavoro e mentre interi settori occupazionali hanno difficoltà a trovare personale, gli italiani, nella scelta della propria occupazione tengono sempre più a proteggere e privilegiare le esigenze di benessere e di una più alta qualità della vita. È questo il quadro emerso a inizio 2024, dal VII Rapporto Censis-Eudaimon, Il welfare aziendale e la sfida dei nuovi valori del lavoro.
Nelle tendenze disegnate si sottolineano – accanto alle nuove esigenze del mondo del lavoro – anche vecchie criticità soprattutto nell’occupazione femminile. Nel confronto con altri Paesi europei il gap nel tasso di occupazione di madri nel nostro Paese è evidente: in Italia sono occupate il 58,6% delle donne con figli, lontano dal 75,4% della Germania, dal 76,7% della Francia ma anche dalla Spagna (70,4%) e dalla Grecia (62,6%) (elaborazione Censis su dati Eurostat 2022).
Le donne sono, infatti, più coinvolte in fenomeni di dimissioni volontarie per colmare l’assenza di servizi per il care dei figli o dei familiari non autosufficienti.
Il 41,7% delle madri, contro il 2,8% dei padri, si sono dimesse per difficoltà a conciliare il lavoro con la cura della prole, mentre il 21,9% per difficoltà nel conciliare lavoro e cura dei figli per ragioni legate all’azienda in cui lavora contro il 4,3% dei padri (elaborazione Censis su dati Ispettorato Nazionale del Lavoro, 2022).
Un sondaggio dell’Eige, inserito nel rapporto del 2024 Return to the labour market after parental leave: A gender analysis, ha rilevato che il 34% delle donne e il 30% degli uomini con figli di età inferiore ai 12 anni riscontrano difficoltà nel conciliare il lavoro retribuito con le responsabilità di cura dei figli almeno per 4 giorni a settimana. Il divario di cura di genere e la sfida di bilanciare lavoro e responsabilità familiari sono fattori chiave dello scarso tasso di occupazione delle donne con figli, che diventa più evidente con l’aumentare del numero di figli a carico.
Anche il Gender Policy Report 2024 di Inapp conferma che il 64% dell’inattività lavorativa in Italia è femminile e le cause sono da trovare prevalentemente nelle esigenze di carattere familiare. Non lavorano per motivi familiari quasi il 44% delle donne inattive contro il 4% degli uomini tra i 25-34 anni. Un fenomeno radicato nella nostra società, in cui il carico di “lavoro familiare” e di cura della casa e della famiglia è ancora e spesso una prerogativa femminile che impedisce e ostacola l’attività lavorativa della donna.
Secondo le stime Inapp Plus, a seguito della maternità il 16% delle donne, contro il 2,8% degli uomini, smette di lavorare e i congedi parentali sono richiesti per l’80% da donne ma essendo a parziale copertura della retribuzione determinano un gender pay gap (grezzo) di 5.200 euro.
I gender gap nel mercato del lavoro non appaiono risolti e proprio per il ruolo strategico che la “riserva” di occupazione femminile rappresenta per il Paese, bisogna rendere strutturali, multiscopo e di lungo periodo le politiche, private e pubbliche, volte a incentivare l’occupazione femminile.
Cosa aiuterebbe a conciliare la vita familiare e il lavoro? Il primo problema è proprio la flessibilità e regolarità negli orari lavorativi, a seguire, i posti disponibili negli asili nido/scuole dell’infanzia pubbliche e i costi/rette scolastiche più accessibili.
Per trattenere e attrarre lavoratori diventa prioritario predisporre adeguate misure di welfare con un approccio fattivo di servizi che aiutino i dipendenti, e in particolar modo la compagine femminile, a risolvere criticità quotidiane.
In un mercato del lavoro che sembra penalizzare i genitori e, in particolare le donne con figli, è auspicabile modulare un pacchetto di misure welfare che aiutino a risolvere criticità quotidiane attraverso un’organizzazione dell’orario di lavoro funzionale a far coesistere genitorialità e lavoro, servizi di sostegno alle famiglie e in particolare a quelle con figli: dagli asili alla scelta della scuola.
Il welfare aziendale, rimarca il report di Censis-Eudaimon, deve dare risposta a problemi quotidiani come disporre di un medico specialista quando se ne ha bisogno oppure avere supporto nella gestione dei figli. Investire nel campo dell’inclusione e nel sostegno alla genitorialità è la via che le imprese possono seguire per appianare il divario di genere e incoraggiare una redistribuzione più equa del carico di cura all’interno della coppia e della famiglia favorendo, di conseguenza, la presenza e permanenza delle donne in azienda ma anche le loro opportunità di carriera.
Cresce la consapevolezza che la parità di genere, l’uguaglianza sul luogo di lavoro e un ambiente inclusivo sono asset strategici per trattenere o attrarre risorse umane e per accrescere attrattività e redditività. Il welfare, infatti, fa bene alle dipendenti ma anche alle imprese. I dati del report 2023 del Corporate Welfare Lab di Sda Bocconi, Il welfare aziendale: strategia per la crescita economica delle imprese e il benessere dei lavoratori, hanno evidenziato che ottime politiche di welfare aziendale aumentano la probabilità di conseguire un incremento dei ricavi superiore al 10% nonché di migliorare la percezione di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori che contribuiranno in maggior misura al successo e alla produttività dell’azienda.
Imprenditoria femminile: le donne chiedono spazio e tempo
«È necessario ripensare in tema di welfare ma anche di gestione dei territori e delle città, spazi e tempi che siano a misura di persona, attraverso l’individuazione di strumenti e politiche per una più equa armonizzazione fra vita privata e lavoro. Solo attraverso strumenti di welfare, destinati non solo alle lavoratrici dipendenti, ma anche e soprattutto alle imprenditrici e mirati a una genitorialità condivisa, si riuscirà a superare il gender gap, stimolare la crescita economica del nostro paese, incrementare l’occupazione e l’imprenditoria femminile e contrastare il calo demografico», questo il messaggio lanciato da Anna Lapini, presidente di Terziario Donna – Confcommercio.
L’imprenditrice toscana, attiva nel settore del design e articoli per la casa, componente di giunta e consiglio nazionali di Confcommercio, vede le giovani imprenditrici come “equilibriste che devono guardare avanti” e per questo – durante il Forum Annuale Donne, Imprese, Futuro – Spazi E Tempi, organizzato a Roma lo scorso ottobre dal Gruppo Nazionale Terziario Donna –ha esortato l’individuazione di strumenti a supporto delle donne imprenditrici, risorsa ineguagliabile e binomio vincente per la crescita economica.
E proprio loro, le “equilibriste”, sono state le protagoniste del report Imprenditoria femminile, terziario di mercato e crescita economica dell’Ufficio Studi Confcommercio. Secondo i dati il 68% delle imprenditrici italiane opera nel terziario, settore in cui l’incidenza delle donne imprenditrici sul totale degli imprenditori (donne e uomini) è maggiore (36,2%) rispetto al totale economia (30,6%) e dove i rami con un’incidenza “femminile” significativa sono, in particolare, i servizi alle persone (64,2%), turismo (52,6%) e alberghi (50,1%).
Energico anche il messaggio sull’imprenditoria femminile di Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio: «Il “tempo” e lo “spazio” che dedichiamo all’imprenditoria femminile sono un investimento per il futuro: lo spazio per fare impresa deve consentire alle donne di essere protagoniste dell’economia, mentre pensare al tempo significa riorganizzare lavoro e vita personale, sia delle imprenditrici che delle lavoratrici, mettendo al centro le persone e le loro esigenze come quelle di salute, di previdenza, di formazione, garantite peraltro dal nostro sistema di welfare contrattuale. Insomma, il nostro impegno, l’impegno di Confcommercio e di Terziario Donna, è garantire che le donne siano parte attiva nelle rivoluzioni in atto, dalla trasformazione ecologica a quella digitale, non solo come beneficiarie, ma appunto come protagoniste».
«Un dato molto confortante – ha commentato Gramuglia – che conferma come la cultura del welfare aziendale stia entrando con successo anche nelle imprese di più piccole dimensioni. Ed è grande l’attenzione verso le dipendenti donna: in pratica tutte le aziende che applicano il welfare aziendale prevedono misure specifiche per il personale femminile». Gli strumenti più utilizzati dalle piccole imprese in favore dei loro dipendenti sono:
– 42% legati alla sanità;
– 39% ai fringe benefits (buoni acquisto, polizze assicurative, concessioni di prestiti ecc.); – – 12% all’istruzione;
– 5% alla previdenza complementare.
Il 40% delle imprese sta applicando politiche aziendali che favoriscano la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro (flessibilità aziendale, smart working ecc.) per tutti i dipendenti e il 6% con una particolare attenzione per le dipendenti donne, il 4% lo farà a breve. Per favorire il personale femminile che ha figli piccoli, il 46% delle piccole aziende intervistate favorisce le dipendenti con orario flessibile, part time e altre misure affinché possano portare più agevolmente i figli al nido, alla materna o a scuola; il 15% è intenzionato a farlo a breve. E anche in tema di “parità di genere” le piccole imprese di Cna Bologna hanno dato buoni risultati: il 43% quando crea un team di lavoro guarda alle competenze senza nessuna discriminazione e l’87% quando procede a promozioni o aumenti di stipendio premia chi è meritevole, senza nessuna differenza tra uomini e donne.
Leggi qui le testimonianze di alcune Capitane Coraggiose
Capitane Coraggiose 2025 | Donne per le Donne: l’edilizia esempio virtuoso