Lo so, lo so, ho scelto un titolo ad effetto! Ma d’altronde conoscendo il panorama degli incentivi alla vendita, nel settore delle finiture per l’edilizia, credimi, qualche dubbio verrebbe anche a te.
Ma andiamo con ordine. Qualche sera fa ricevo la chiamata di un mio cliente, settore distribuzione. Mi dice: «Veronica, ma tu lo sapevi che i miei venditori aumentano del 40% la loro retribuzione annua con i buoni benzina che le aziende fornitrici erogano loro a mia insaputa?».
Ora, puoi immaginare lo sgomento di questo imprenditore che sapeva di alcuni voucher consegnati ai venditori in particolari momenti dell’anno, da parte di 5 aziende, ma non era a conoscenza del traffico inimmaginabile di talloncini numerati che si muovevano sottobanco.
Sorvolo sull’aspetto etico delle aziende, che saltano il titolare di showroom perché dicono che altrimenti, non distribuisce i premi ai venditori (spesso capita anche quello). Sorvolo anche sull’aspetto etico delle agenzie, che probabilmente sono dentro quella rivendita con 3 o 4 aziende e magari è una vita che lavorano con quel distributore. E sorvolo anche sul comportamento dei dipendenti che avranno i loro buoni motivi per accettare.
Ma se mi metto nei panni di quell’imprenditore che credeva di avere la situazione sotto controllo e invece scopre che i suoi addetti alle vendite, le agenzie con cui lavora da decenni e le aziende di produzione che gli si siedono davanti ogni inizio di anno per gli accordi commerciali, tramano a casa sua per spostare fatturati mandando in fumo la sua strategia di crescita, non posso che sentirmi davvero “solo”.
Una cosa è ovvia, da qualunque lato si guardi questa dinamica, ogni attore ha i suoi buoni motivi per promuovere e accettare questo strumento di motivazione alle vendite. Incentivi, come li chiama la dottrina.
Il venditore pensa: “con tutto il lavoro che faccio, è da stupidi non accettare il buono benzina!”. L’azienda pensa: “mi ha tirato il collo con lo sconto sull’obiettivo, se gli dessi anche ciò che voglio dare direttamente alla sua forza vendita, se li terrebbe lui! E poi… mica va a dire ai venditori di proporre il mio prodotto! Lui è amico del titolare della concorrenza!”
Poi c’è l’agente, che si trova in mezzo a una logica perversa e dentro di sé sa che sta rischiando, ma sa anche che se i buoni non glieli da lui alla forza vendita, alla fine glieli darà il concorrente, che già l’anno scorso ha aumentato il valore del voucher di 1 euro!
Buoni benzina e fatturati
Ti starai chiedendo se davvero è sufficiente un buono benzina per spostare i fatturati. Ti rispondo con 2 studi. Il primo studio è un trattato di Psicologia del lavoro, condotto da un noto professore universitario. Il secondo studio è frutto di un sondaggio elaborato dal Centro Studi della nostra L’Accademia dello Showroom in occasione dell’uscita dell’Osservatorio nazionale dell’Esperienza in Showroom, edizione 2025. L’osservatorio oltre al consueto report estratto dalle mystery experience di quest’anno, ha condotto un sondaggio in forma anonima sulle leve di motivazione alla vendita, sondaggio rivolto a 2000 venditori di showroom di tutta Italia.
Lo studio di Frederick Herzberg
Professore e Presidente del Dipartimento di psicologia presso Chase, Western Reserve University, Frederick Pitsburg, Usa e autore di “Lavoro e natura dell’uomo”, Herzberg spiega nel suo report che le persone sono state interrogate sulle loro esperienze di lavoro positive e negative e sugli elementi relativi a queste esperienze.
L’analisi delle risposte di queste persone ha rivelato che gli elementi di esperienza buona e cattiva non erano gli stessi. Esperienze negative o sentimenti di infelicità e insoddisfazione provenivano dall’ambiente in cui lavorano, mentre esperienze positive o sentimenti di felicità e soddisfazione derivavano da fattori legati alla percezione di sé stessi sul lavoro.
Lo studio ha evidenziato 2 classi di fattori: i cosiddetti di mantenimento (ovvero quelli che ti fanno rimanere in quel luogo di lavoro) e i cosiddetti motivanti, ovvero quelli che ti spingono “a fare di più” (lavorare più del previsto, aumentare le vendite, prenderti delle responsabilità).
Secondo Herzberg i fattori di mantenimento sono il minimo sindacale, ovvero quegli elementi che stanno alla base del diritto al lavoro. Come ad esempio: un salario adeguato, la sicurezza sul lavoro, le condizioni di lavoro, le politiche aziendali etiche eccetera.
La presenza di questi fattori non soddisfa i lavoratori, che li danno per scontati, ma anche la loro assenza non li soddisfa.
I fattori motivanti invece, sono legati a come si sente una persona nello svolgimento di quel lavoro. Ovvero se percepisce l’importanza che il suo ruolo ha, all’interno dell’organizzazione per contribuire allo sviluppo dell’azienda o di un obiettivo personale. La presenza o l’aumento di questi fattori soddisfa le persone e ne migliora l’efficienza. La loro assenza o diminuzione però non genera insoddisfazione, semplicemente porta le persone a fare il minimo richiesto. Ovvero ti dicono “io ho fatto quello che mi spettava”, si muovono secondo il mansionario e alle 19 cade la penna, per capirci.
Per incentivare le persone a dare più di ciò che danno oggi, è necessario attivare i fattori motivanti. I fattori motivanti includono: il riconoscimento del lavoro svolto (pacca sulla spalla), l’avanzamento del lavoro stesso (in relazione ad obiettivi fissati), la possibilità di crescita e sviluppo (personale e all’interno dell’organizzazione) e la responsabilità (ovvero l’essere consapevoli di poter influenzare un risultato).
Dallo studio risulta evidente come l’aspetto economico o i premi a valore economico (buoni benzina, voucher spesa…) non siano un elemento motivante, ma di mantenimento. Ecco perché gli effetti dell’utilizzo di sistemi economici premianti sono solo temporanei, dato che si inseriscono all’interno del percepito della persona che li identifica come nuovo standard (abitudine). Questo porta poi a considerarli consuetudinari e solo l’aumento di valore potrebbe portarli ad attivare nuove azioni propositive. Azioni che terminerebbero o ridurrebbero i loro effetti fino all’inazione, quando il valore economico del nuovo premio arrivasse ad essere considerato il nuovo standard. Nella fattispecie, se parliamo di stimolare le vendite utilizzando leve motivazionali di premiazione economica, avremo un focus iniziale di motivazione alla vendita alto, che andrà a scemare nel breve periodo, quando la ricompensa verrà percepita come “abitudinaria”. Per avere gli stessi risultati di vendita si dovrebbe quindi aumentare il valore del voucher.
Al contrario lo studio ci mostra come il raggiungimento di obiettivi prefissati e il riconoscimento in pubblico (es. evento di premiazione o nomina di Ambasciatore), oppure in privato (pacca sulla spalla e/o riconoscimento da parte del datore di lavoro) dei risultati raggiunti, non solo crea nelle persone grandi e duraturi stati di benessere, ma li porta anche a spingersi oltre ciò che il ruolo richiede, vendite comprese.
Buoni benzina sì o no
In sostanza, buoni benzina sì o buoni benzina no? Dipende dal tuo obiettivo, se vuoi ottenere un booster di vendite nel breve periodo, funziona. Se utilizzi lo strumento come unica leva di stimolo sul venditore per lunghi periodi, allora sappi che non funzionerà per 3 motivi:
- non appena il voucher diventa consuetudine, viene meno la dopamina da sfida, lo darà per scontato e non avrà più effetto. E quando deciderai di non darglieli più farai un danno maggiore.
- ci sarà sempre qualcuno dei tuoi concorrenti disposto a dargli anche solo 1 euro in più, spostando il tuo fatturato su di sé.
- finita la premialità, finito l’impegno.
I risultati del sondaggio
Abbiamo chiesto ai venditori di showroom all’interno del nostro database, la disponibilità a rispondere a delle domande in forma anonima.
Le domande riguardavano:
– il loro approccio ai risultati;
– l’effettiva condivisione/assegnazione di un budget;
– il metodo utilizzato per l’assegnazione del budget;
– l’orientamento agli obiettivi di vendita;
– la motivazione personale ad un miglior risultato;
– l’impatto della leva incentivi sulle loro azioni.
Ciò che emerge dal sondaggio sulla leva degli incentivi è un quadro che conferma lo studio del Professor Herzberg, mettendo in dubbio l’efficacia dello strumento sul lungo periodo.
Infatti, i fattori che spingono il venditore ad una maggior proposta di un azienda/prodotto, rispetto ad un’altra, sono risultati essere nell’ordine:
- facilità nell’utilizzo degli strumenti di vendita;
- attaccamento al brand;
- incentivo economico nel breve periodo.
L’opinione degli addetti alle vendite, quindi, ribalta quello che è il sentiment delle aziende di produzione che investono in sistemi premianti. Arrivando a riconoscere percentuali fino al 5% sul valore del venduto ai venditori della distribuzione.
Un po’ come dire: “se piazzare i tuoi prodotti mi deve richiedere lo sforzo cognitivo di dover usare i tuoi cataloghi/configuratori/portali incomprensibili, allora preferisco non guadagnarci!” qualcuno direbbe, non ne vale la candela!
Ma se, gli strumenti sono di facile logica di comprensione e utilizzo e l’azienda e il prodotto mi piacciono, allora la presenza di un incentivo mi fa mettere una maggiore intenzione nella proposta. Cosa c’è da imparare da questi studi? Per prima cosa impariamo che mettere gli addetti alle vendite nella condizione di saper argomentare e proporre i prodotti con sicurezza è la prima leva che un fornitore può utilizzare, per attivare il maggior numero di proposte, senza erogare incentivi diretti, ma agendo attraverso comunicazione e formazione.
È bene quindi che le aziende investano nella costruzione di cataloghi e contenuti di argomentazione di prodotto chiari e capaci di far comprendere al venditore le differenze tra un’azienda ed un’altra, tra un prodotto ed un altro concorrente. E questa è la vera sfida per gli uffici marketing delle aziende di produzione, in un contesto in cui tutti si professano leader di mercato. In seconda battuta apprendiamo che far conoscere la realtà aziendale all’addetto alle vendite tramite le visite in azienda e presentargli le persone con cui parlano al telefono, è un additivo importante. Ed è quindi il caso di investire nella creazione di Venditori Ambasciatori del brand, quelli che si innamorano dell’azienda e ne parlano in continuazione, quelli che vivrebbero come tradimento verso sé stessi il solo fatto di proporre un altro marchio.
Questa attività può essere integrata con comunicazione e condivisioni di:
- obiettivo di vendita
- riconoscimento (pubblico o privato)
- comprensione dell’impatto che le loro vendite hanno sulle vendite totali
- avanzamento in una scala di ambasciatori
- crescita personale.
In ultima analisi apprendiamo che i buoni benzina non spostano i fatturati se usati di continuo. Questi strumenti incentivanti devono essere dosati ed utilizzati in particolari momenti dell’anno per dare un booster alle vendite. Pena, il basso ritorno sull’investimento ed un rischio troppo grande di finire fuori dalla porta del distributore.
Non credo che questo imprenditore sia l’unico ad esser vittima di queste dinamiche e lo so che qualcuno avrà pensato “da me non accadrebbe mai”, ma ti lancio una provocazione: e se invece…?
*Direttrice e formatrice de L’Accademia dello Showroom